Partito di Alternativa Comunista

Perché comprare immediatamente La loro morale e la nostra di Trotsky

Perché comprare immediatamente

La loro morale e la nostra di Trotsky

 

 

di Francesco Ricci

 

 

Lev Trotsky è stato la più grande penna che il movimento operaio abbia mai avuto.

Certo, Engels e Lenin avevano una penna affilata come un rasoio e i loro testi, senza fronzoli, sono impeccabili e implacabili. Certo, Marx ha scritto il Manifesto che resta – di là dall'importanza politica – un capolavoro letterario. Ma per quanto riguarda specificamente lo stile letterario, Trotsky non ha avuto eguali tra i grandi rivoluzionari. Se avesse fatto il romanziere ci avrebbe regalato libri comparabili con le vette della grande letteratura, con Tolstoj e Turgenev, con Dickens e Flaubert. E, certo, se non lo rimpiangiamo come romanziere è solo perché ha lasciato alla storia ben più di qualche grande romanzo: cose come la rivoluzione russa, la teoria della rivoluzione permanente, la fondazione della Terza e della Quarta Internazionale. Cose che hanno cambiato non la storia della letteratura ma quella dell'umanità.

Comunque, basterebbero le sue grandi capacità letterarie, lo stile inconfondibile, per giustificare il consiglio di leggere ogni suo libro e di acquistare subito (appena finito di leggere questa recensione) La loro morale e la nostra, uscito in questi giorni per i tipi dell'Associazione Rjazanov, una neo-nata casa editrice che ha già al suo attivo, tra l'altro, il bel libro di Milciades Peña, Che cosa è il marxismo.

Vogliamo comunque fornire al lettore altri quattro buoni motivi per cui raccomandiamo di non perdere questo libro.

 

Primo: è quasi un inedito

La loro morale e la nostra è un testo del 1938 che (per quanto ne sappiamo) in italiano è stato pubblicato solo in tempi remoti: dopo una vecchia edizione Schwarz del 1958, curata da Maitan, c'è stata quella del 1967 per le edizioni De Donato e l'ultima risale al 1995 per le Nuove Edizioni Internazionali (con una prefazione in cui Enzo Traverso concludeva... dando ragione sostanzialmente alle tesi che Trotsky avversava). Dunque da quasi trent'anni manca dalle librerie e al più si trova in qualche libreria antiquaria o in biblioteca.

In questo senso, è quasi un inedito per il lettore italiano. Per di più qui viene presentato in una nuova accurata traduzione e insieme a vari inediti.

 

Secondo: è il miglior testo polemico di Trotsky

Trotsky è stato, come dicevamo, una penna insuperabile. C'è da aggiungere che se le sue pagine di storia sono indimenticabili (si pensi alla Storia della rivoluzione russa, il suo capolavoro), è nelle polemiche che dava il meglio di sé. Infilzato dalla sua penna nessun avversario esce indenne dal rigore spietato della sua logica, dall'uso magistrale del sarcasmo e di ogni strumento retorico.

In questo caso l'obiettivo polemico indiretto era il filosofo liberale John Dewey, che aveva presieduto la Commissione internazionale, composta da intellettuali di tutto il mondo, chiamata a pronunciarsi sulla farsa delle accuse staliniane contro Trotsky e i trotskisti (di essere spie dei fascisti, di aver complottato contro l'Urss, ecc.). Commissione che aveva emesso il verdetto finale: «non colpevole». Finiti i lavori della commissione, che aveva dimostrato la falsità grottesca delle accuse, Dewey aveva rilasciato una serie di dichiarazioni in cui in buona sostanza esprimeva la propria valutazione politica personale affermando che lo stalinismo sarebbe stato in qualche modo figlio del bolscevismo. Più in generale Dewey, coerentemente con la sua impostazione politica, opponeva una sorta di eterna e assoluta «morale kantiana» al comunismo; una astrazione al di sopra delle classi in cui si incontrano sullo stesso piano la violenza degli oppressi e quella degli oppressori.

Col suo testo Trotsky polemizzava non solo e non tanto con Dewey bensì, più in generale, con tutte quelle posizioni – comuni all'antistalinismo in chiave liberale o riformista – che, travisando la storia, buttavano per così dire «il bambino con l'acqua sporca», cioè deducevano dagli orrori dello stalinismo una condanna per il bolscevismo, che, argomenta Trotsky, viceversa era stato il principale obiettivo della controrivoluzione stalinista, affermatasi con la distruzione del partito che aveva guidato la rivoluzione e col massacro di centinaia di suoi quadri.

Secondo obiettivo di Trotsky in questo dibattito sulla morale era Victor Serge, romanziere e rivoluzionario che pure era stato dirigente dell'Opposizione e vicino a Trotsky ma che, riavvicinandosi alle sue giovanile posizioni «anti-autoritarie», aveva pubblicato l'edizione francese di La loro morale e la nostra con una nota anonima che imputava a Trotsky di criticare lo stalinismo ma di non giudicare con la stessa severità i metodi (secondo l'accusa, simili) impiegati da Lenin e da Trotsky stesso nei primi anni della rivoluzione, in particolare nella vicenda di Kronstadt ma non solo.

Serge affermò in seguito che la nota non era sua, ma in ogni caso quella era l'impostazione che in gran parte ormai condivideva.

La risposta di Trotsky è in Moralisti e sicofanti, un testo più breve ma altrettanto efficace e che, di fatto, completa La loro morale e la nostra.

 

Terzo: contiene testi inediti in italiano

Il libro che vi invitiamo a leggere è curato da Matteo Bavassano, autore di questa nuova traduzione e di un imponente e minuzioso apparato di note così come di un utilissimo glossario biografico (grazie al quale il lettore si può orientare tra i nomi citati nei testi). Soprattutto a Bavassano dobbiamo la preziosa introduzione in cui tutto il dibattito, che qui abbiamo per necessità riassunto in poche righe, è ricostruito con meticolosa cura filologica e con una acuta analisi interpretativa del contesto.

Contesto in cui il dibattito a distanza con Dewey e Serge si intreccia con una polemica, alimentata dagli anarchici, sulla famosa questione di Kronstadt, cioè la rivolta controrivoluzionaria scoppiata in Russia nel 1921 che i bolscevichi dovettero reprimere (dopo vari tentativi di disarmarla pacificamente). Rivolta che mirava a rovesciare il governo sovietico con una pretesa «terza rivoluzione» volta a rimuovere i bolscevichi dal potere.

Bavassano ha quindi utilmente incluso nel libro una serie di testi (lettere e articoli) di Trotsky, Serge, Wright (un dirigente della sezione statunitense della Quarta Internazionale) in cui il dibattito è sviscerato. Testi utili perché come è noto la vicenda di Kronstadt è stata amplificata, deformata e utilizzata per anni, tanto dalla borghesia come dagli anarchici, come presunta dimostrazione di una filiazione tra l'epoca di Lenin e Trotsky e quella di Stalin. Ancora oggi, tanti, che spesso nemmeno saprebbero dire cosa avvenne in quell'episodio, evocando il nome di «Kronstadt» (basta la parola, come in una vecchia pubblicità) pretendono di infilare in uno stesso sacco gli stalinisti, affossatori dell'Ottobre e dell'indipendenza di classe, e i trotskisti, che dell'Ottobre furono l'unica continuità rivoluzionaria.

 

Quarto: è un testo attualissimo

In questi testi Trotsky si scaglia contro la falsa morale borghese ma anche contro l'amoralismo staliniano che proprio in quegli anni, in nome di un presunto «fine rivoluzionario» (in realtà il fine era la difesa dei privilegi della casta burocratica), aveva messo sotto accusa nei Processi di Mosca quanto restava del gruppo dirigente rivoluzionario.

Trotsky non si ferma a una lettura deformata del vecchio aforisma attribuito a Machiavelli secondo cui «il fine giustifica i mezzi»: spiega che vi è una interdipendenza dialettica tra fine e mezzi, il che significa che non qualsiasi mezzo è giustificato dal fine, e a sua volta il fine è giustificato solo se fa avanzare l'umanità nella sua lotta per liberarsi da ogni sfruttamento e oppressione. Massacrare i rivoluzionari, ancorare il proletariato al carro borghese, tradire una per una tutte le rivoluzioni, coltivare il «culto del capo», cioè appunto tutto quanto facevano gli stalinisti per difendere l'esistenza di una burocrazia, era un fine di natura opposta al fine socialista.

Dopo aver sistemato i conti sul tema con gli stalinisti, Trotsky si scaglia contro il moralismo piccolo-borghese dei riformisti, timorosi che l'uso di alcuni mezzi snaturi di per sé il fine rivoluzionario. E qui Trotsky difende la liceità dell'uso degli ostaggi durante la guerra civile russa (mentre lo Stato sovietico doveva resistere contro gli eserciti di mezzo mondo); ricorda l'uso che degli ostaggi fece la Comune di Parigi (che ne fucilò una sessantina, tra cui il vescovo Darboy) incontrando non solo l'approvazione di Marx ma, al più, il rimprovero suo e di Engels di essere stata eccessivamente bonaria contro i nemici borghesi, il che fu in parte motivo della caduta della Comune.

Così pure Trotsky smaschera l'argomento fasullo e ipocrita delle «vittime civili» nei conflitti.

Attenzione: cosa c'è di più attuale per affrontare il dibattito in corso, anche a sinistra, sulla Palestina? Un dibattito in cui tanti «moralisti», astraendo dal carattere di classe dello scontro, dal fatto che ci sono oppressori (i sionisti e quella grande base militare dell'imperialismo che è Israele) e oppressi (i palestinesi, cacciati dalla loro terra), si stracciano le vesti per l'uso da parte di Hamas e della resistenza palestinese degli ostaggi, o piangono i civili morti (specie quando non sono palestinesi).

A questo genere di posizioni (che, come si vede, non è nuovo) Trotsky risponde, ironicamente, invitando Serge e altri intellettuali a scrivere «un codice morale per la guerra civile». Ma allertando: «E per quanto riguarda fucili, bombe a mano e anche le baionette, indubitabilmente esercitano una funesta influenza sugli esseri umani così come sulla democrazia in generale, l’uso delle armi, da fuoco o bianche, nella guerra civile è strettamente proibito. Meraviglioso codice! (...) Tuttavia, finché questo codice non verrà accettato come regola di condotta da tutti gli oppressori e da tutti gli oppressi, le classi belligeranti cercheranno di ottenere la vittoria con ogni mezzo, mentre i moralisti piccolo-borghesi continueranno come fino ad ora a vagabondare in confusione tra i due campi. Soggettivamente, simpatizzano con gli oppressi – nessuno ne dubita. Oggettivamente, rimangono prigionieri della morale della classe dominante e cercano di imporla agli oppressi invece di aiutarli ad elaborare la morale dell’insurrezione».

Scrive ancora Trotsky: «Il materialismo dialettico non conosce dualismo tra mezzi e fini. I fini derivano naturalmente dal movimento storico. I mezzi sono subordinati organicamente al fine. Il fine immediato diviene il mezzo per un ulteriore fine».

Una lezione che dovrebbero meditare anche certi sedicenti rivoluzionari (e persino sedicenti «trotskisti») che si sentono autorizzati, nel combattere una battaglia politica, a utilizzare la calunnia contro altri militanti e ad adottare metodi immorali in virtù di un criterio secondo cui «ogni mezzo è lecito», «vale tutto». Dimostrando così di non aver compreso quasi nulla del trotskismo e, se possibile, ancor meno della battaglia dei rivoluzionari che, come scrive Trotsky, è orientata non da un inesistente «amoralismo bolscevico» ma punta, al contrario, a una «morale umana superiore».

 

Bene, speriamo di avervi convinto a leggere questo testo magnifico. Cosa aspettate? Comprate subito il libro. Leggetelo e rileggetelo, regalatevelo e regalatelo. Se spesso si spreca la definizione di «imperdibile» per un libro, credeteci, non è questo il caso.

 

Il libro può già essere acquistato online (lo trovate ad esempio qui: https://tiny.cc/35mzvz)

 

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