A proposito del governo Tsipras
(K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito comunista, 1848).
Anni fa, Fausto Bertinotti (ex presidente della Camera, ex segretario di Rifondazione), quando ancora si definiva (senza giustificazione alcuna) "comunista", e preparava l'ingresso del suo partito per la seconda volta in un governo Prodi (il Prodi bis, 2006-2008), ingresso che sarebbe valso a lui la presidenza della Camera e a Paolo Ferrero il seggiolino da ministro, soleva ripetere che di fronte a un governo bisogna fare "la prova del budino". Non avanzare previsioni sugli sviluppi del governo a partire dalla sua caratterizzazione di classe (come sostenevamo e sosteniamo noi) ma "affondare il cucchiaio nel budino" e provarne la bontà.
Pare una norma di buon senso: provare una cosa per vedere se funziona. Se non fosse che, come vedremo, questa prova è stata fatta infinite volte nella storia.
Nel 1848, in Francia, il proletariato aiutò la borghesia a liberarsi di Luigi d'Orleans ma cadde nella trappola di partecipare - per la prima volta nella storia - a un governo con la borghesia. Il governo che si costituisce nel febbraio '48 era composto da varie correnti borghesi ma al suo interno sedeva anche il giornalista Louis Blanc, socialista, riformista, in rappresentanza degli operai. A lui la borghesia concesse in realtà un ministero che aveva persino la sede staccata da quella del resto del governo: la Commissione degli operai rappresentati da Blanc e Albert (antenati di Bertinotti e Tsipras) era relegata al Palais du Luxembourg mentre il governo vero (in mano alla borghesia) era all'Hotel de Ville. Al Luxembourg i riformisti erano lasciati dalla borghesia a giocare con i loro sogni di conciliare gli interessi opposti delle due classi mortalmente nemiche della società capitalistica: borghesi e proletari.
Engels sintetizzò così i risultati di questa prima collaborazione di governo: "Dopo il febbraio '48 i socialisti democratici francesi (della Réforme, Ledru-Rollin, Louis Blanc, Flocon, ecc.) hanno commesso l'errore di accettare qualche seggio nel governo. Minoranza in un governo dei repubblicani borghesi, essi hanno sostenuto le responsabilità di tutte le infamie votate dalla maggioranza (...)." Per Engels la colpa dei riformisti non si fermava lì, perché "mentre tutto ciò succedeva, la classe operaia era paralizzata dalla presenza al governo di questi signori che pretendevano di rappresentarla." (1). La subalternità degli operai alla borghesia e al suo governo venne rotta solo nel giugno '48, ma le illusioni e l'impreparazione costarono diecimila morti nelle piazze parigine per mano delle bande armate della borghesia che si affiderà poi al nipote sciocco di Napoleone, Luigi Bonaparte (che col nome di Napoleone III governerà la Francia sino alla vigilia della Comune del 1871).
Marx nel Manifesto definisce i governi come "comitati d'affari della borghesia" e precisa che lo scopo dei comunisti non è quello di andare al governo (nello Stato borghese) bensì quello della "formazione del proletariato in classe, rovesciamento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato." Tutto questo, preciserà dopo la Comune del 1871, si può ottenere solo con una rivoluzione che "spezzi" con la violenza rivoluzionaria delle masse la macchina statale borghese. La rivoluzione (sempre secondo il Manifesto) "consiste nell'elevarsi del proletariato a classe dominante" e in questo e solo in questo si deve intendere per Marx "la democrazia".
Ma le lezioni della Comune, riprese nei congressi di Londra (1871) e dell'Aja (1872) della Prima Internazionale, non vennero fatte proprie fino in fondo dalle nascenti organizzazioni socialdemocratiche. Per questo nel 1875 Marx si trovò a polemizzare con il programma di unificazione della socialdemocrazia tedesca (il Programma di Gotha), ancora imbevuto di posizioni riformiste (lo "Stato popolare libero") ispirate al pensiero di Lassalle.
Dopo la morte di Engels (1895) questa confusione teorica troverà una sistematizzazione nelle teorie del rinnegato Bernstein, che saranno, dopo alcuni anni di battaglie nella Seconda Internazionale, assunte dalla forte burocrazia del partito tedesco (Spd) come proprio riferimento, a copertura dell'integrazione nello Stato borghese.
E' mentre si combatteva questa battaglia tra marxisti e revisionisti che nel 1899 il dirigente socialista Alexandre Millerand entrò a far parte, come ministro del Commercio e dell'Industria, del governo di Waldeck-Rousseau, al fianco del generale Galliffet, massacratore della Comune.
Questa vicenda aprirà un grande dibattito nella Seconda Internazionale. Ma l'"affaire Millerand" non rimarrà isolato: era il sintomo di un virus più aggressivo che provocherà nel 1914 una pandemia: la stragrande maggioranza della Seconda Internazionale (con l'eccezione della sinistra guidata da Lenin, Rosa Luxemburg, Trotsky) offrirà sostegno in ogni Paese ai rispettivi governi borghesi impegnati nel macello della Prima guerra mondiale.
Sarà sulla marxiana pietra angolare dell'indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi che i bolscevichi di Lenin si costruiranno e arriveranno alla rivoluzione del 1917. Eppure anche in quel partito - il più grande partito rivoluzionario della storia - iniziava ad attecchire il virus della collaborazione di classe, seppure in un quadro di caos rivoluzionario. Infatti, prima che Lenin rientrasse in Russia (dall'esilio svizzero), il gruppo dirigente del partito, guidato da Stalin e Kamenev, si orientava per una forma ambigua di sostegno critico esterno al governo provvisorio nato dalla rivoluzione. Cioè erano disposti a sostenerlo "nella misura in cui" avanzasse politiche progressive.
Contro questa posizione, nel marzo del 1917, alla vigilia della partenza sul treno "blindato" che lo porterà in Russia, Lenin scrive da Zurigo una serie di cinque lettere (le "Lettere da lontano") al Comitato Centrale del partito. La prima di queste cinque lettere venne pubblicata, con ampi tagli, nei numeri del 3 e 4 aprile della Pravda; le altre furono pubblicate solo vari anni dopo la rivoluzione e, in forma integrale, solo dopo la morte di Stalin.
Si tratta per Lenin non solo di mettere in guardia il partito contro ogni sostegno al governo ma più in generale di legare questa linea a un complessivo riorientamento dell'intera prospettiva bolscevica sui compiti della rivoluzione, abbandonando la vecchia posizione (parzialmente "tappista") della "dittatura democratica degli operai e dei contadini" e adottando, di fatto, la prospettiva della "rivoluzione permanente" che da anni Trotsky aveva indicato: una rivoluzione unica socialista (non due tappe ma un unico intreccio tra compiti democratici e socialisti), guidata dal proletariato (a sua volta diretto dal partito rivoluzionario), per instaurare una dittatura del proletariato quale premessa della realizzazione degli obiettivi democratici e, senza soluzione di continuità, dell'esproprio del grande capitale e delle misure socialiste, ciò nel quadro di un processo di sviluppo della rivoluzione mondiale, indispensabile per garantire la stessa sopravvivenza della rivoluzione russa. (2)
Su queste posizioni Lenin si trova inizialmente solo nel gruppo dirigente del partito (Trotsky e la sua organizzazione, gli Interdistrettuali, confluiranno qualche settimana dopo nel Partito bolscevico). Dovrà quindi affrontare una dura battaglia interna per "riorientare" il bolscevismo. E' la battaglia condensata nelle famose "Tesi di Aprile" (il mese del congresso), il cui senso è riassunto nella terza tesi: "Non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio, dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse (...). Smascherare questo governo, invece di 'rivendicare' - ciò che è inammissibile e semina illusioni - che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialistico."
Al contempo, dice Lenin, dobbiamo riconoscere che "il nostro partito è in minoranza" (tesi 4) e che pertanto non può porsi il compito immediato di rovesciare il governo. Si tratta di creare le condizioni per farlo, spiegando alle masse "in modo paziente, sistematico, perseverante" che quel governo, che pure sentono come proprio, è in realtà un governo borghese, che è necessario che le loro organizzazioni maggioritarie (Socialisti-Rivoluzionari e menscevichi) rompano con la borghesia e assumano il potere sulla base di un programma contrapposto alla borghesia, non di conciliazione con essa, basandosi sull'altro grande potere che esisteva in quel momento in Russia, quello dei soviet. Fu proprio la (prevista) mancata rottura da parte dei riformisti con il governo borghese a far guadagnare ai bolscevichi la maggioranza nei soviet, cioè negli organismi di lotta.
Dopo di allora, grazie al ruolo della socialdemocrazia, poi dello stalinismo, infine del nuovo riformismo di origine socialdemocratica o stalinista, il movimento operaio è stato costretto infinite altre volte a "fare la prova del budino". Cioè a sperimentare sulla propria pelle la impossibilità di un governo che concili gli interessi delle due classi nemiche, borghesia e proletariato.
Questi "assaggi" del dolce avvelenato non hanno, purtroppo, provocato solo delle evitabili indigestioni ma anche veri e propri massacri e più in generale hanno sempre condotto, senza una sola eccezione, al fallimento di ogni processo rivoluzionario.
E' stata la storia del governo "delle sinistre" che nasce nella rivoluzione tedesca del 1918-1919 e che fa uccidere Rosa Luxemburg; è stata la storia del fallimento della rivoluzione in Francia e in Spagna negli anni Trenta, dove lo stalinismo iniziò a chiamare i vecchi governi di collaborazione di classe con il nome nuovo di "governi di fronte popolare"; è stata la storia della collaborazione del Pci di Togliatti ai governi che disarmarono la Resistenza partigiana e ricostruirono la Repubblica dei banchieri e degli industriali in cui viviamo. E' la storia del fallimento della rivoluzione cilena e di quella portoghese negli anni Settanta. E di tante altre sconfitte imposte al proletariato da quelle direzioni burocratiche che, per assumere ruoli e privilegi nello Stato borghese, hanno costretto infinite volte a esperimenti di governo con i padroni. Gli esempi più recenti sono quelli dei due governi Prodi con la partecipazione di Rifondazione, di cui parlavamo all'inizio di questo articolo e che riassumono in farsa, per dirla con Marx, tante altre esperienze tragiche.
Quando scriviamo, riprendendo l'essenza del marxismo, che per i comunisti non è possibile governare nel capitalismo, che possono farlo solo dopo aver "spezzato" la macchina statale borghese (perché lo Stato non è neutro ma è di classe); quando spieghiamo che tra "andare al governo" nel capitalismo (come ha fatto qualche settimana fa Syriza) e "prendere il potere" c'è di mezzo una gigantesca differenza che si chiama rivoluzione; non stiamo enunciando dogmi religiosi ma, come si è visto, principi che il movimento rivoluzionario ha consolidato in due secoli di esperienza. L'unico modo per rovesciare questo sistema è mantenere, come fecero i bolscevichi quando erano il più piccolo dei partiti russi, una opposizione di principio a ogni governo nel capitalismo (sia esso composto di soli partiti borghesi o di un misto con partiti di sinistra o anche solo di partiti di sinistra: la composizione non cambia la natura borghese del governo). Solo questa opposizione di principio può consentire di contrastare le illusioni che i riformisti seminano nelle masse illudendole nella collaborazione di classe; solo questa opposizione, nel corso dello sviluppo delle lotte, può consentire di guadagnare la maggioranza politicamente attiva (che è cosa diversa dalla maggioranza elettorale) alla necessità di rovesciare con la forza delle piazze il governo per costruire un reale governo operaio (quello che Marx, e noi con lui, definisce "dittatura del proletariato"), basato su un programma di esproprio della borghesia.
Altre vie non ce ne sono, altre prove non sono necessarie. Il budino che ci ripropongono i Ferrero, i Vendola, gli Tsipras è avvelenato.
Note
(1) F. Engels, Lettera a Turati, 26 gennaio 1894.
(2) Abbiamo qui necessariamente schematizzato la questione della "rivoluzione permanente". Chi volesse approfondire può leggere il nostro ampio saggio "Che cosa è la teoria della rivoluzione permanente", pubblicato sul n. 1 di Trotskismo Oggi, la rivista teorica del Pdac.