Partito di Alternativa Comunista

Alitalia, bando alle chiacchiere: solo il protagonismo dei lavoratori può salvarla!

 
 
Alitalia, bando alle chiacchiere:

solo il protagonismo dei lavoratori  può salvarla!
 
 
 
 
 
a cura di Daniele Cofani (operaio Alitalia)
 
 
Mentre imperversa l’ondata pandemica a livello mondiale, con un settore aereo-aeroportuale alle prese con una forte crisi operativa ed economica, procede senza sosta il piano di ridimensionamento, tagli al personale e smembramento di ciò che rimane di Alitalia. Un piano che non si inscrive nell’ambito della crisi in atto, ma che porterebbe a compimento un progetto internazionale decollato da più di un decennio, a cui ad Alitalia spetterebbe un ruolo subalterno, da ancella dei cieli.   

La crisi del settore: miliardi alle imprese, miseria ai lavoratori
Partendo dal presupposto che il Covid-19 ha innescato un reale crollo del traffico aereo, in cui le restrizioni e il vertiginoso calo dei passeggeri hanno influito molto nel taglio dei voli internazionali, al contempo non possiamo omettere che il comparto proviene da un decennio di enormi profitti per le grandi compagnie e multinazionali del volo commerciale. Basti pensare che le sole compagnie aeree nel 2019 avevano accumulato un utile di 25,9 miliardi di dollari e per quest’anno, prima della pandemia, la Iata (organizzazione internazionale delle compagnie aeree) aveva stimato un profitto netto di 29,3 miliardi. Sempre la Iata stima che dei 4,54 miliardi di passeggeri che hanno volato nel 2019, quest’anno ne verranno trasportati poco più della metà e i ricavi complessivi delle compagnie diminuiranno a 419 miliardi di dollari, rispetto agli 838 dell’anno scorso. Stiamo parlando di cifre da capogiro, con profitti che si sono moltiplicati per 10 anni consecutivi, generando ricchezze immense per i capitalisti del settore. Infine, le compagnie aeree mondiali, pur trovandosi di fronte a perdite nette di 84,3 miliardi di dollari per il 2020, senza dubbio le più alte di tutti i tempi, hanno ottenuto aiuti da parte dei governi fino a 123 miliardi sotto forma di prestiti, sgravi, iniezione di capitale, senza calcolare l’esonero del pagamento della gran parte dei salari attraverso il massiccio utilizzo degli ammortizzatori sociali.
In questo contesto, chiaramente complicato, chi sta pagando il prezzo più alto della crisi sono i lavoratori, a partire dalle migliaia di precari condannati da accordi della vergogna ad uno status di instabilità, che oggi li ha portati alla disoccupazione senza neanche un reale sostegno al reddito.
Sono migliaia i lavoratori del settore posti in cassa integrazione (in Alitalia se contano 7 mila in cigs) di cui la gran parte in "cassa Covid", che non prevede costi per le aziende e oltretutto nega ai lavoratori l’integrazione al misero assegno dell’Inps da parte del fondo del settore. Il fondo speciale del trasporto aereo, che viene alimentato sia da una tassa sui biglietti aerei ma anche da contributi in busta paga, fu istituito nel 2008 dal governo Berlusconi principalmente per gestire nella pace sociale le ristrutturazioni aziendali del comparto, in prima istanza di Alitalia, con la funzione di integrare fino all’80% il salario dei lavoratori posti in cassa integrazione (cigs). Pur essendo un aiuto reale per i lavoratori, la sua gestione in mano alle istituzioni borghesi e alle direzioni sindacali confederali e professionali, che siedono nel consiglio di amministrazione del fondo, non ne ha permesso un utilizzo ampio e solidale per tutta la filiera del comparto e del suo indotto che, mai come in questa fase di crisi, è totalmente discriminato e ridotto alla fame rispetto ad altre categorie obiettivamente più tutelate. Inoltre il fondo, strettamente collegato alla cassa integrazione, ha avuto prevalentemente un ruolo di bancomat per le aziende del settore, che ne hanno fatto un abuso funzionale ai loro profitti: pensate che dal 2008, solo in Alitalia, è stato utile per licenziare più di 12 mila lavoratori e altre migliaia hanno continuato a subire cassa integrazione nonostante fossero dipendenti della compagnia privatizzata. Una miniera di soldi scippati al settore per vessare e licenziare, subordinando profitti e privilegi di pochi ad uno sviluppo e occupazione di qualità: tutto chiaramente avallato dalle grandi e piccole direzioni sindacali.    

Un piano della miseria e il ruolo dei realisti di professione
Dei 123 miliardi che sono stati stanziati dai vari governi per le compagnie aeree in crisi, in Italia ne sarebbero destinati 3 per la creazione di una nuova compagnia di bandiera pubblica. Apparentemente potrebbe sembrare una buona notizia vista la situazione e l’ingente investimento pubblico, ma basta guardare alla storia recente di Alitalia e alle linee guida del nuovo piano industriale per comprendere che il governo sta portando a compimento un progetto che avanza da decenni, condiviso da ogni colore politico, che vedrebbe Alitalia finire come piccola ancella dei cieli subordinata ad una delle grandi compagnie e alleanze internazionali.
Stiamo parlando della nascitura Ita (Italia - trasporto - aereo), embrione della Newco pubblica che andrebbe a rilevare parte degli asset e dei lavoratori della commissariata Alitalia-Sai. Già istituito il consiglio di amministrazione, dopo prolungate bagarre tra le fronde politiche per accaparrarsi un rappresentante nel cda - a ricordare la peggiore tradizione da prima repubblica - sono stati prescelti come amministratore delegato Lazzerini e come presidente Caio.
Prima ancora della pandemia, con un’amministrazione straordinaria iniziata nel maggio del 2017 con il livoroso ministro Calenda, ora candidato a sindaco di Roma, si prospettava per il futuro di Alitalia una vendita a Lufthansa o Delta (1) con una parziale partecipazione pubblica: entrambi i casi avrebbero comportato uno smembramento e ridimensionamento della compagnia come anche dell’organico dei lavoratori, con una relativa composizione della flotta e del network funzionale alle esigenze del compratore (come fu per Air France ed Etihad).
Oggi la pandemia ha imposto al governo una nazionalizzazione, con l'obiettivo di raggiungere il medesimo progetto, ossia traghettare Alitalia fuori dalla crisi totalmente ristrutturata secondo le necessità del futuro compratore. Lazzerini non lo ha nascosto né durante i primi incontri con le organizzazioni sindacali, né nelle audizioni in Camera e Senato, dove ha parlato di «complementarietà di flotta e di network con i partner che sceglieremo», facendo chiare allusioni al gruppo Delta, Air France-Klm, come anche a Lufthansa.  Inoltre nelle linee di piano ha indicato «l'obiettivo di un'azienda che sta sul mercato che deve recuperare connettività, sostenibilità economica e non solo» che tradotto vuol dire lacrime e sangue per i lavoratori e un servizio essenziale che guarda al portafoglio degli azionisti e non alle necessità del Paese, nonostante l’investimento pubblico di 3 miliardi.
Il nuovo Ad non ha nascosto neanche la possibile struttura societaria della nuova compagnia a trazione pubblica: sarà una holding a tre teste in cui la parte di volo sarà collegata a due società di terra: una di manutenzione e una di servizi (handling) le quali, nella migliore delle ipotesi, saranno partecipate a maggioranza dalla casa madre solo nella prima fase, per poi lasciare spazio alle multinazionali private del settore. Quanto riportato è stato poi approvato nello schema di piano votato dal Cda di Ita il 18 dicembre 2020 (1).
Impeccabile come sempre è il ruolo dei realisti di professione che, omettendo tutte le precedenti tragiche ristrutturazione di Alitalia, avvenute nel decennio più ricco del settore aereo, ci vogliono far credere che nulla di meglio si possa ottenere stante la situazione attuale. Ma voglio ricordare che ci troviamo di fronte gli stessi personaggi, di organizzazioni sindacali e politiche, che nel 2008 hanno sostenuto e avallato la privatizzazione di Alitalia e il conseguente licenziamento di 10 mila colleghi, con taglio medio del 13% del salario, il tutto sacrificabile rispetto un fantomatico rilancio (sic!). Sono gli stessi che nel 2014, di fronte ai petrodollari degli sceicchi di Abu Dhabi, hanno sacrificato altri 2 mila lavoratori promettendo la nascita di una “compagnia sexy”, per poi riproporre nel 2017 un ulteriore accordo di licenziamenti (bocciato dallo storico referendum) nonostante Alitalia fosse ormai completamente decotta. Bene, proprio questi stessi personaggi, oggi ci vengono a raccontare che servono altri sacrifici, ossia nient’altro che le stesse ricette di sempre: terziarizzazioni, licenziamenti e tagli al contratto, con la promessa che andrà tutto bene... sicuramente non per i lavoratori!

Direzioni sindacali a difesa del loro fortino 
La verità è che in Alitalia abbiamo una delle peggiori direzioni sindacali, che da anni continua senza sosta a favorire interessi politici e privati subordinando al mantenimento dei propri apparati burocratici l’occupazione e il salario dei lavoratori. Tutto è in funzione del loro stesso mantenimento in vita, questione che riguarda non solo le grandi burocrazie confederali ma anche quelle che si presentano come alternative che però negli anni hanno avallato ogni passaggio vessatorio e distruttivo di Alitalia, quanto e come Cgil, Cisl, Uil e Ugl. Basta vedere il tradimento perpetrato nei confronti dei lavoratori Alitalia dopo la storica vittoria del referendum del 2017 (2), in cui anche Usb (per il No solo di facciata) ha firmato poi accordi di cassa integrazione e tagli al salario, come ad esempio il blocco degli scatti di anzianità.
Stiamo parlando di direzioni sindacali a cui, in piena amministrazione straordinaria, mentre si richiedevano pesanti sacrifici ai lavoratori, venivano concesse cadauna circa 3500 giornate di permessi sindacali all’anno, per un costo totale che si aggira intorno ai 10 milioni. Non stiamo parlando di diritti sindacali, ma di veri e propri privilegi per intere strutture burocratiche, tra l'altro senza che siano state sottoposte alla votazione dei lavoratori. Per fare un esempio, in Alitalia non sono mai avvenute neanche le elezioni delle Rsu, riconosciute nel pessimo accordo sulla rappresentanza del 2014 (3), ma sono in vigore le Rsa elette dai soli e sempre di meno iscritti, senza contare l’infinità di distacchi retribuiti che possono vantare i sindacati confederali. Tale pratica, oltretutto, non rende giustizia alle Rsa e ai delegati in buona fede.
Quanto detto grida vendetta e il solo pensiero che a tali strutture burocratiche possa essere concessa anche la partecipazione al comitato di gestione della nuova compagnia pubblica, attraverso un organismo paritetico, fa venire i brividi.

Ora basta, mobilitiamoci!
È giunta l’ora di dire basta!
Il progetto ormai è chiaro, il Cda di Ita ha approvato un ridimensionamento drastico della flotta e dell’organico, stiamo parlano di un taglio netto del 50% della flotta con interi settori posti al di fuori del perimetro aziendale. La nuova compagnia partirà con 52 aerei e poco più di 5000 lavoratori, una vera e propria mattanza. Oltretutto, come se non bastasse, ci giunge notizia che il pagamento della 13° e dello stipendio vengono posticipati e chissà se garantiti.
È finito il tempo delle attese e delle false promesse, bisogna mobilitarsi per imporre un cambio di rotta. Non si può parlare di tagli, di licenziamenti e di rotte profittevoli con 3 miliardi di investimenti pubblici. I lavoratori Alitalia hanno pagato troppo mentre padroni e menestrelli banchettavano alla faccia di migliaia di colleghi licenziati.
Non vorremmo che, come nel 2008, 2014 e 2017, i sindacati dessero di nuovo l’avallo alla prossima carneficina nonostante le rituali dichiarazioni di opposizione. Solo la Cub trasporti continua a mantenere la barra dritta in difesa dei diritti basilari dei lavoratori: salario, occupazione e sicurezza. Nel 2017, insieme ad AirCrewCommittee, furono protagonisti del vincente comitato del No al referendum, ed oggi si fanno promotori di una imminente petizione e di iniziative di lotta, nel tentativo di rimettere al centro di ogni decisione il consenso dei lavoratori.
Il Partito di Alternativa Comunista sostiene la lotta dei lavoratori Alitalia a partire dalla difesa del salario e dell’occupazione; per una compagnia realmente pubblica sotto il controllo dei lavoratori e al servizio della collettività e nel reale rispetto dell’ambiente. Ci battiamo per l’unione dei lavoratori impegnati nelle tante lotte in corso nel Paese. La pandemia ha fatto emergere le molte contraddizioni di questo sistema, il capitalismo, basato sullo sfruttamento di tanti per il profitto di pochi miliardari: solo un ampio fronte di lavoratori in lotta potrà creare al contempo l’avanzamento delle coscienze e i rapporti di forza per il rovesciamento di questo sistema marcio e la costruzione di un'altra società.
Ti invitiamo a conoscere e ad aderire al nostro progetto politico. Vieni alla nostra prossima assemblea zoom: “Unire le lotte contro il capitalismo” in cui saranno ospiti, oltre all’autore di questo articolo, anche altre lavoratrici di differenti settori.
Per partecipare contatta il numero 3454954243.

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