Partito di Alternativa Comunista

Il documento politico approvato

La situazione politica in Italia

IL PROGRAMMA DEI RIVOLUZIONARI

NEL NUOVO CICLO DI LOTTE

 

La crisi capitalistica mondiale investe il nostro Paese e acutizza il conflitto di classe

La crisi capitalistica anche nel nostro Paese si sta allargando e aggravando. Oggi, la vera natura del capitalismo è sotto gli occhi di tutti: per arginare la caduta del tasso di profitto e far pagare la crisi ai lavoratori, il capitale non esita a chiudere aziende; a ricorrere a licenziamenti di massa e all'ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro; a trasferire la produzione in Paesi in cui la forza lavoro costa meno; ad attaccare in modo diretto - con politiche razziste, espulsioni, respingimenti, ecc - gli strati più sfruttati della classe operaia, cioè gli immigrati (divenuti capro espiatorio della crisi del sistema). Il capitalismo in putrefazione determina la distruzione delle forze produttive, con conseguenze catastrofiche soprattutto sulle nuove generazioni, condannate alla miseria e alla disoccupazione. Non è da escludersi che i magnati della grande industria e della finanza, memori degli insegnamenti del secolo scorso, per conservare il proprio predominio e salvaguardare i profitti, alimentino una deriva guerrafondaia che potrebbe condurre anche a una nuova stagione di conflitti interimperialistici.
La crisi in Italia coinvolge migliaia di imprese dell'industria, dell'edilizia, dell'artigianato, del commercio, del turismo, dei servizi. La grande impresa attraversa una fase di ulteriore concentrazione e centralizzazione del capitale con conseguenti chiusure di stabilimenti. La Fiat, mentre riceve finanziamenti dalle banche (Intesa San Paolo, Unicredit) e stabilisce accordi e fusioni internazionali (Chrysler), annuncia la chiusura di stabilimenti (Pomigliano, Termini Imerese) e migliaia di licenziamenti, spostando gran parte dell'intero suo asse produttivo al di là dell'oceano, negli Stati Uniti, approfittando di finanziamenti del Tesoro statunitense e negoziando con il sindacato aziendale (sindacato che, in combutta col padronato, entrerà nel consiglio di amministrazione della nuova società) la violenta compressione dei diritti dei lavoratori già assunti e da assumere (drastica riduzione dei salari, divieto di sciopero, ecc).
Similmente, gli altri settori della grande industria (non solo meccanica, ma anche manifatturiera, delle telecomunicazioni ecc) e le piccole e medie imprese subiscono la stessa sorte.
I lavoratori immigrati oltre al lavoro perdono anche il permesso di soggiorno, ritrovandosi nella condizione di clandestinità. I lavoratori precari sono i primi a fare le spese della chiusura degli stabilimenti: sono centinaia di migliaia i contratti di lavoro a tempo determinato che non sono stati rinnovati.
Nel 2009 la cassa integrazione ordinaria ha coinvolto milioni di lavoratori. Un numero sempre maggiore di aziende ricorre alla cassa integrazione straordinaria, precorritrice della mobilità e dei licenziamenti. La stessa cassa integrazione ordinaria, come dimostra la lotta dell'Alcoa, è percepita dai lavoratori come il primo segnale di un'accelerazione sul terreno dei licenziamenti. La disoccupazione nel 2009 ha superato il 9% su base nazionale (e si tratta di cifre ufficiali, quindi sottostimate). La pesante crisi e la necessità padronale di un attacco senza precedenti ai lavoratori per recuperare il saggio di profitto alimentano il conflitto sociale e rilanciano in tutta Europa una nuova stagione di lotte operaie.

 

Le politiche del governo Berlusconi ricadono sui lavoratori

Il governo Berlusconi ha potuto vincere grazie alla crisi del centrosinistra borghese sostenuto dalla cosiddetta sinistra radicale. Quest'ultima, con una politica opportunista di compromesso di classe tradottasi anche nel sostegno alla guerra imperialista e alle politiche economiche padronali, ha subito la sconfitta del suo progetto con la conseguente scomparsa dal Parlamento. In questo modo ha determinato un ulteriore indebolimento della classe lavoratrice, indebolimento a cui hanno contribuito i sindacati concertativi, e che ha favorito la propaganda del centrodestra. Il governo Berlusconi, attento sul piano sociale a soddisfare istanze costruite ad arte, come il bisogno di sicurezza e di ordine (con i conseguenti numerosi episodi di violenza razzista e i fenomeni, sempre più diffusi, di discriminazione razziale, terreno fertile per la propaganda della Lega Nord ma, in alcune città, anche di gruppi di stampo neofascista) sta mostrando un volto "decisionista" e reazionario, mentre sul piano istituzionale tende a rafforzare la figura del premier e a esautorare finanche le istituzioni rappresentative democratico‑borghesi. I contrasti all'interno della maggioranza di governo (Fini da una parte, Berlusconi dall'altra) non rappresentano altro che i conflitti interni alla grande borghesia italiana, i cui settori maggioritari non si sentono pienamente tutelati dal premier Berlusconi e preferirebbero un asse di governo allargato, da Fini, Casini e Bersani, se necessario fino all'Italia dei valori (che si ritaglia un ruolo di opposizione demagogica lucrando sulla oggettiva debolezza del PD ma sostenendo nei fatti politiche antioperaie e un programma economico liberista) e col sostegno esterno della neonata Federazione della sinistra (Ferrero, Diliberto, ecc). Agli occhi del padronato italiano un fronte di governo di questo tipo rappresenterebbe, in un momento di potenziale acuirsi del conflitto sociale, sia un temporaneo calmiere delle lotte, sia un governo più svincolato dagli interessi capitalistici personali del premier-imprenditore (le polemiche estive sulle escort e le abitudini sessuali del premier vanno lette in quest'ottica).
Di fatto il governo nella sostanza opera su un terreno già tracciato dal governo Prodi ‑ non a caso i programmi elettorali dei due schieramenti erano molto simili ‑ a dimostrazione che la grande borghesia richiede ai governi di centrodestra e di centrosinistra sostanzialmente le stesse ricette. Il governo Berlusconi ha elaborato una manovra finanziaria triennale che prevede 30-35 miliardi di tagli: sono in atto tagli alla scuola e all'università, alla sanità e al pubblico impiego (blocco del turn over, ricorso alla mobilità, sospensione delle stabilizzazioni e disoccupazione per i precari); i rinnovi dei contratti pubblici sono stati congelati e, con il decreto Brunetta, si introduce la possibilità di licenziare, a discrezione dei dirigenti, anche nel pubblico impiego; è stato elaborato un piano per lo "sviluppo" con nuove privatizzazioni, nuove liberalizzazioni (servizi pubblici locali) e l'introduzione del nucleare. Anche le politiche sociali sono basate essenzialmente sul taglio dei costi. La sanità sarà delegata ulteriormente alle regioni con il federalismo fiscale: gli ospedali verranno definitivamente trasformati in s.p.a. o in fondazioni, accelerando i processi di privatizzazione. Si avranno tagli per 7 miliardi per il fondo sanitario delle regioni 2010-2011, di 250 milioni di euro per il fondo sociale, un taglio di 550 milioni di euro per il piano casa e di 350 milioni di euro per i trasporti.
L'altra faccia dei tagli alla spesa in nome della "stabilizzazione della finanza pubblica" è rappresentata dalla politica di "incentivi allo sviluppo e alla crescita dell'economia". La borghesia italiana, così come ha sostenuto lo scorso governo di centrosinistra, ottenendo peraltro notevoli vantaggi attraverso la detassazione delle imprese e la concertazione, oggi detta l'agenda al governo di centrodestra (il quale ove serve non esita, per mano di Tremonti, a risanare le casse dello Stato con provvedimenti non particolarmente graditi alla grande borghesia nostrana - in quanto forieri di ulteriore competizione intercapitalistica - come lo scudo fiscale): aumento dell'età pensionabile; massima flessibilità del mercato del lavoro attraverso licenziamenti, precarietà; sostituzione della contrattazione nazionale con quella individuale e aziendale; detassazione a vantaggio dell'imprese; aiuti alle banche; nuove rottamazioni dei settori auto ed elettrodomestici; creazione di nuovi spazi di mercato attraverso la privatizzazione dei servizi, le grandi infrastrutture e rilancio del nucleare; incentivi per gli obblighi delle industrie sulle emissioni di CO2; svendita di Alitalia sulla pelle dei lavoratori. In questo solco si colloca l'accordo quadro sul nuovo modello contrattuale firmato il 22 gennaio 2009 (e ratificato il 15 aprile) dal governo, dalle associazioni padronali e da Cisl, Uil, Ugl, Confsal, Cisal, Sinpa.    
Di fronte allo scontro di classe che, con l'inasprimento della crisi, è destinato a crescere, padroni e governo hanno la necessità di mettere in discussione lo stesso diritto di sciopero (ddl Sacconi). Sacconi ed il governo hanno spiegato che il ddl riguarda solo il settore dei trasporti ma non è che l'inizio e questa norma vieta da subito tutte le forme di conflitto che si esprimano con il "blocco fisico" di siti, strade, aeroporti, ecc. Con misure come il referendum preventivo per le organizzazioni che sono al di sotto del 50% di rappresentatività, la dichiarazione preventiva di adesione allo sciopero, lo sciopero virtuale, l'allungamento degli intervalli tra uno sciopero e l'altro, le sanzioni per le violazioni delle regole, sarà impossibile scioperare, con una regressione rispetto alle limitazioni già presenti. Se associato al divieto di manifestare nel fine settimana e all'annunciato inasprimento delle sanzioni (prendendo a pretesto la farsesca "aggressione" al premier a Milano) relative alle "azioni di disturbo di manifestazioni politiche e sindacali", è evidente che siamo di fronte al tentativo da parte padronale di reprimere preventivamente le lotte operaie. Per questo, la classe operaia deve respingere da subito, con una lotta ad oltranza, i licenziamenti e l'attacco padronale, fino a ribaltare i rapporti di forza. Il procrastinare il conflitto favorendo la lenta e progressiva espulsione della classe operaia dai luoghi di lavoro - ciò che stanno facendo le burocrazie dei sindacati concertativi, quelle della Fiom incluse - significa togliere agli operai stessi le loro uniche armi di difesa: gli scioperi, i picchetti, le occupazioni, le azioni di massa prolungate.

 

L'azione del padronato e della burocrazia sindacale

L'accordo quadro firmato dal governo, dalle associazioni padronali e dai sindacati organici al governo delle destre (Cisl, Uil, Ugl, Confsal, Cisal, Sinpa) chiude la fase concertativa aperta il 23 luglio 1993, che ha fatto precipitare i salari italiani al livello più basso in Europa (e che ha visto come protagonista anche la stessa burocrazia Cgil, che oggi mima un'opposizione di facciata) e ne apre un'altra, che mira a distruggere la stessa contrattazione collettiva e il contratto nazionale (portato delle lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta) sia nel settore pubblico che nel settore privato. A questo accordo si è arrivati dopo un anno di accordi separati da parte di Cisl, Uil e Ugl. Il testo dell'accordo si apre e si chiude con la richiesta di maggiore produttività ai lavoratori, meno diritti e meno salario. La gestione degli ammortizzatori è affidata agli enti bilaterali, garantendo per questa via la burocrazia sindacale complice del governo e del padronato. La durata dei contratti è ulteriormente estesa, tanto per la parte economica che per quella normativa.
Allo stesso tempo, la Cgil - che pure è stata esclusa dal tavolo della concertazione ed è stata costretta a collocarsi in una posizione di pseudo-opposizione - ha risposto all'attacco padronale con una riduzione delle mobilitazioni. E quando ha chiamato alla lotta lo ha fatto con la solita routine di scioperi puramente dimostrativi, mai protratti al di là di una o mezza giornata di astensione dal lavoro, senza mai dichiarare la volontà irrinunciabile a non sospendere la lotta fino al conseguimento di un qualche obiettivo, sia pur minimo, con mobilitazioni di piazza spesso ipocrite o farsesche. Scioperi vuoti di contenuti e di radicalità, che pesano sulle tasche dei lavoratori ma non hanno finora portato ad alcun risultato concreto. Questo metodo di lotta crea alla lunga frustrazione e stanchezza nel mondo del lavoro e viene utilizzato dalla direzione Cgil solo in funzione di riconquistare un ruolo egemone al tavolo della concertazione, oggi scalzato da Cisl e Uil. L'opposizione della Cgil al nuovo modello contrattuale non risulta credibile: continua a sostenere la subordinazione del salario alla produttività e alla redditività dell'impresa oltre che la triennalizzazione dei contratti, voluta da governo e Confindustria. Di fatto, la Cgil si limita a non rivendicare, formalmente, l'accordo, recependolo poi nella sostanza, così come è avvenuto e sta avvenendo per alcuni contratti firmati negli ultimi tempi (alimentaristi, chimici, telecomunicazioni).
A questo, bisogna aggiungere il ruolo svolto dalle direzioni burocratiche della Cgil - incluse quelle della Fiom - nelle lotte operaie che stanno sorgendo in questi mesi. Come sempre nella storia, quando la lotta di classe tende ad acutizzarsi, gli apparati dirigenti dei sindacati mirano a controllare le masse lavoratrici al fine di disarmarle. Questo è già evidente nelle prime lotte che stanno sorgendo in questi mesi, sulla spinta della crisi capitalistica. La generosa disponibilità alla lotta, dimostrata dagli operai di tante fabbriche, viene sistematicamente tradita dai dirigenti (e spesso dagli stessi delegati) della Fiom, che smobilitano le lotte in cambio di accordi al ribasso (accordi che prevedono cassa integrazione straordinaria, mobilità, esuberi con licenziamenti di massa, come nel caso della Tenaris a Dalmine). Oggi più che mai è evidente che non solo le burocrazie di Fim e Uilm, ma parimenti quelle della Fiom risultano sempre più un tappo all'esplosione di lotte operaie radicali e su larga scala. Rispondendo alla domanda di un giornalista che le chiedeva se temesse esplosioni di tensioni sociali come in Francia e Inghilterra, il presidente di Confindustria Marcegaglia ha così risposto: "la cassa integrazione si è rivelata utilissima (...) è giusto dare atto del senso di responsabilità con cui le aziende e a livello locale i sindacati hanno gestito la crisi. (...) La Cgil e la Fiom si stanno comportando bene, pure nelle zone considerate più calde: da Brescia a Reggio Emilia" (La Repubblica, 27/04/2009).
La logica che sta alla base del ricorso massiccio alla cassa integrazione (cassa integrazione ordinaria e straordinaria) è evidente, soprattutto ai padroni: preservare gli utili degli azionisti scaricando le spese sulla collettività, cioè ancora una volta sui lavoratori. Allo stesso tempo la cassa integrazione allontana i lavoratori dalle fabbriche, li isola, spezza quei legami minimi di solidarietà che si creano sui luoghi di lavoro e che servono per organizzare le lotte - si sta rivelando una manna dal cielo per i padroni. E' per questo che il decreto di Tremonti (estate 2009) potenzia questo strumento, insieme ai cosiddetti "contratti di solidarietà" (che liberano le aziende anche dall'onere di pagare ad ogni operaio il suo misero intero salario): 40 milioni di euro vengono stanziati per l'integrazione salariale per i contratti di solidarietà, 25 milioni per il rifinanziamento delle proroghe a 24 mesi della cassa integrazione straordinaria per cessata attività. Si tratta di provvedimenti che tradiscono le reali preoccupazioni di governo e padronato: il rischio di una crescita delle lotte è reale e quello che sta succedendo negli altri Paesi europei, dalla Francia all'Inghilterra alla Grecia, non fa dormire sonni tranquilli ai capitalisti e ai loro portavoce. Le occupazioni delle fabbriche cominciano a diventare un pericoloso spettro che s'aggira per l'Europa.

 

L'intervento sindacale del PdAC: la battaglia per il sindacato di classe

Ovviamente nessun sindacato, nemmeno un sindacato (e non esiste oggi in Italia) che si ponga esplicitamente il compito di abbattere il capitalismo, può sostituire il partito. Il modo stesso in cui avviene l'adesione a un sindacato - senza distinzioni tra attivisti e non attivisti, senza adesione a un programma - implica l'impossibilità che un sindacato si doti di un programma rivoluzionario compiuto. Inoltre, i sindacati raggruppano necessariamente una piccola parte della classe lavoratrice: gli strati più oppressi (e maggioritari) vengono trascinati nella lotta nei momenti di eccezionale risveglio. In questi casi sorgono organizzazioni che vanno oltre i sindacati: comitati di lotta, comitati di sciopero, comitati di fabbrica, ecc. In questi frangenti, i rivoluzionari devono sempre battersi per la costruzione di organizzazioni militanti indipendenti anche dagli stessi sindacati.
Ciò non toglie che è dovere di ogni comunista intervenire nei sindacati. Anzi, come spiega bene Trotsky nello scritto sui sindacati nell'epoca dell'imperialismo, oggi "l'intervento nei sindacati (...) diventa in un certo senso più importante che mai per un partito rivoluzionario (...) la posta in gioco è la lotta per l'influenza sulla classe operaia". Del resto la necessità che i rivoluzionari intervengano nei sindacati - finanche nei sindacati reazionari, era già stata posta ed elaborata da Lenin e ribadita dall'Internazionale comunista delle origini - con lo scopo di sottrarre ampi settori all'influenza delle burocrazie dirigenti.
E' a partire da questo patrimonio teorico, tattico e programmatico che il Partito di Alternativa Comunista - consapevole delle proprie poche, ma compatte, forze - ha elaborato e applicato una tattica di intervento sindacale che vede impegnati attivisti del Partito sia nella Cgil, sia nel cosiddetto sindacalismo di base (RdB, Conf. Cobas, SdL, Cub, Slai Cobas). Più in particolare, nella Cgil gli attivisti del PdAC sono collocati nella Rete 28 aprile (la componente di sinistra in Cgil, che al prossimo congresso sostiene un documento contrapposto a quello di Epifani facendo blocco con categorie come la Fiom, la Funzione pubblica, la Fisac bancari). In questa collocazione, la nostra battaglia si è fin dall'inizio articolata nella prospettiva della costruzione di un sindacato di classe, contro la linea concertativa e di collaborazione di classe della maggioranza, ma anche per una svolta nella Rete 28 aprile stessa in termini programmatici e organizzativi. I punti essenziali a cui si è da sempre ispirata la battaglia degli attivisti del PdAC in Cgil sono riassunti in un documento elaborato come contributo al dibattito congressuale nella Rete 28 Aprile dai nostri compagni insieme ad altri attivisti della Rete e diffuso lo scorso agosto in occasione di un incontro nazionale della Rete. Oggi quest'area è l'unica che, in vista del congresso nazionale della Cgil, ha proposto nella Rete 28 aprile una piattaforma antiburocratica e rivendicativa alternativa a quella proposta dal seconda documento che, sebbene alternativo a quello della maggioranza di Epifani, mantiene tutti i limiti di un'impostazione sindacale concertativa e annulla in prospettiva l'esistenza di qualsiasi opposizione interna alla Cgil.
Per quanto riguarda il sindacalismo di base, i militanti del nostro Partito sono stati fino ad oggi attivi in particolare (ma non esclusivamente) nella Confederazione Cub (la principale confederazione a sinistra della Cgil, di cui la parte maggioritaria è organizzata nel pubblico impiego come RdB-Cub). La Confederazione Cub ha conosciuto di recente un processo di scomposizione che ha portato a una frattura: la parte maggioritaria della Confederazione ha deciso di intraprendere un processo di unificazione con altri settori del sindacalismo di base (SdL anzitutto, ma anche Orsa e settori della Cub, in stretta interlocuzione con lo Slai Cobas), mentre una parte, minoritaria, è rimasta al di fuori da questo progetto. L'intervento degli attivisti di Alternativa Comunista si è caratterizzato per una battaglia per l'unificazione del sindacalismo di base, per la costruzione del sindacato di classe sulla base di una piattaforma rivendicativa anticapitalista, per la democrazia interna. In particolare, nella decisione di partecipare alla costituente del nuovo sindacato che nascerà dalla fusione tra i settori maggioritari della Cub e SdL, i nostri militanti hanno sottoscritto e condiviso un contributo diffuso da attivisti Cub di diverse categorie in occasione dell'assemblea nazionale costituente dello scorso maggio. Il documento ruota attorno ai seguenti assi: unità di tutto il sindacato di base, necessità di partecipare agli scioperi potenzialmente conflittuali indetti dai sindacati concertativi, necessità della battaglia per il sindacato di classe.
Il nostro impegno per la costruzione di un sindacato di classe e di massa nel nostro Paese continuerà, nella convinzione che sia necessario realizzare il coordinamento e l'unità d'azione del sindacalismo di base e dei settori classisti in Cgil. Oggi più che mai - di fronte agli attacchi sempre più pesanti del padronato, di fronte al licenziamento di milioni di lavoratori, di fronte all'inasprimento delle misure repressive nei confronti della classe lavoratrice - occorre battersi per sottrarre i lavoratori dal peso delle burocrazie dei sindacati concertativi e dal settarismo spesso presente nel sindacalismo di base, premesse per la costruzione di un sindacato che sia espressione della contrapposizione delle masse lavoratrici contro il capitale (cioè basato sull'indipendenza di classe dalla borghesia, dal suo Stato, dai suoi governi); che faccia della lotta ad oltranza lo strumento privilegiato del suo operare; che miri al rovesciamento degli attuali rapporti di forza, a partire dalla difesa degli interessi della classe lavoratrice. A questo scopo, fin da subito occorre sostenere e coordinare le lotte operaie in corso.

 

Lo sviluppo delle lotte operaie: una campagna per l'occupazione delle fabbriche, per i comitati di lotta, per l'autodifesa dei lavoratori

Le esperienze più avanzate di conflitto di classe - dalla Francia alla Grecia (dove, oltre alle violenze di piazza, gli scioperi prolungati sono all'ordine del giorno) - rappresentano un serio avvertimento agli occhi dei capitalisti. Nonostante lo sforzo della propaganda padronale di occultare i fenomeni, seppure per ora isolati e frammentari, di lotta di classe in Italia (da Pomigliano a Termini Imerese, dall'Alfa di Arese all'ex Eutelia), l'esperienza degli ultimi mesi dimostra che il conflitto operaio ha una grande capacità di contagio. La stessa lotta operaia all'Innse di Milano, con un anno di occupazione degli stabilimenti, dimostra che le esperienze di lotta di classe possono estendersi in modo relativamente rapido. Infatti, il diffondersi su larga scala della pratica di "occupare i tetti" delle fabbriche - benché si tratti di un atto meramente dimostrativo - indica che tra la classe operaia comincia a diffondersi, confusamente, la consapevolezza che solo con la lotta è possibile difendere il posto di lavoro. Un primo salto di qualità si è avuto, anche in Italia, con la lotta degli operai dell'Alcoa in Sardegna: all'annuncio della decisione dell'azienda di dare il via alla cassa integrazione guadagni, gli operai - ormai consapevoli che la cig è sempre più spesso l'anticamera della disoccupazione - hanno occupato la fabbrica e "sequestrato" i manager, imponendo le loro condizioni ai padroni. Anche negli stabilimenti della Fiat a Termini Imerese, così come in quelli dell'Alfa di Arese, sono in corso lotte ad oltranza: a Termini Imerese è stato annunciato lo sciopero prolungato e l'occupazione degli stabilimenti. Non è da escludersi che nella prossima fase assisteremo all'estensione del fenomeno delle occupazioni. Si tratta, per ora, di episodi solo isolati e frammentari, privi di un coordinamento nazionale (e internazionale), assolutamente inadeguati a respingere la pesantezza dell'attacco padronale. Tuttavia, sono episodi che preoccupano, a ragione, il padronato, che vede in essi la possibile scintilla di un conflitto di più ampie dimensioni (e per questo si prepara a farvi fronte, inasprendo le politiche repressive). L'acutizzarsi della lotta di classe implicherà l'acutizzarsi dei metodi di contrattacco da parte del capitale. Dovremo aspettarci pesanti contromisure da parte della borghesia. L'istituzione delle ronde, l'utilizzo dei vigilantes privati in funzione repressiva (v. caso Eutelia) non sono che i primi segnali di un fenomeno che nella storia si è ripetuto più volte, dimostrando la correttezza di quanto sostenuto da Trotsky nel Programma di transizione: "la borghesia non si accontenta mai della polizia e dell'esercito ufficiali" e non esita a utilizzare milizie private.
E' necessario che il partito avvii fin da subito una campagna per l'occupazione delle fabbriche: "Le occupazioni delle fabbriche da parte degli operai in sciopero (...) vanno oltre i limiti del 'normale' andamento del capitalismo. Indipendentemente dalle rivendicazioni degli scioperanti, l'occupazione temporanea delle fabbriche sferra un duro colpo alla sacralità della proprietà capitalistica. Ogni occupazione pone all'ordine del giorno la domanda su chi deve comandare nella fabbrica: il capitalista o il lavoratore?" (Programma di transizione). Allo stesso tempo, occorre lanciare fin da subito - nella prevedibile estensione delle occupazioni - una campagna per la costituzione di comitati di lotta di fabbrica e territoriali, coordinati a livello nazionale e internazionale. I comitati dovranno essere eletti da tutti i lavoratori della fabbrica, superando la limitatezza delle attuali rappresentanze sindacali (di fatto controllate dalle burocrazie dei sindacati concertativi e svincolate dal controllo operaio). E' altrettanto necessario organizzare fin da subito l'autodifesa delle lotte, creando - in ogni fabbrica in mobilitazione - squadre di autodifesa, a partire dai picchetti di sciopero.

 

La crisi storica del riformismo

Il riformismo è, per sua natura, incapace di offrire risposte progressive ai bisogni delle classi subalterne, ciò è tanto più evidente in fase di crisi economica. E' questa, in sostanza, la causa della crisi storica che si è abbattuta su tutta la sinistra socialdemocratica italiana che, dopo due anni di partecipazione al governo di collaborazione di classe capeggiato da Prodi, ha vissuto due potenti sconfitte elettorali e un tracollo politico ed organizzativo.
Parlare di crisi storica della socialdemocrazia non significa illudersi che i partiti e i gruppi socialdemocratici si scioglieranno come neve al sole di fronte al capitalismo in agonia. Certo oggi è in crisi perché non ha nulla da "redistribuire", ma dispone ancora di risorse e mezzi (che la borghesia più scaltra non le fa mancare) per spargere nuove illusioni tra i lavoratori e cercare così di riguadagnare - nell'aggravarsi dello scontro di classe - un ruolo come pompiere delle lotte. I dirigenti socialdemocratici storicamente svolgono una funzione preziosa nel preservare il sistema dominante, rinviando, frazionando, depotenziando le lotte e conducendole, quando comunque esplodono, al tavolo delle trattative per ottenere qualche irrilevante concessione, subito spacciata come una "significativa vittoria".
Le "svolte a sinistra" impresse nel 2008 dai congressi del Pdci e del Prc non sono state altro che il tentativo di simulare - nelle condizioni date di forzata ricollocazione all'opposizione - un riavvicinamento ai lavoratori e alle loro esigenze. Si è trattato di svolte finte in quanto non è minimamente mutato l'orizzonte riformista e governista di entrambi i partiti. Tanto il Prc come il Pdci hanno continuato a governare con il Pd in regioni, province e comuni di mezza Italia e nuove alleanze sono in campo per la prossima tornata amministrativa. Nelle intenzioni dei gruppi dirigenti, la collocazione all'opposizione era - e le ultime dichiarazioni di Ferrero lo dimostrano - da intendersi solo come una parentesi, mentre l'obiettivo vero resta quello di ricostruire una futura alleanza di governo con la cosiddetta borghesia progressista e con il suo partito liberale di riferimento, il Pd. La scissione avvenuta nel Prc da parte dell'area congressuale che fa capo a Vendola (Sinistra e Libertà, ora Sinistra, ecologia, libertà dopo la frattura coi Verdi) si è giocata non tanto su questioni strategiche, ma su come perseguire l'obiettivo di ricomporre una alleanza di governo con la sinistra liberale, e cioè se esercitare una pressione sul Pd direttamente come sua appendice (Vendola) o esercitarla sotto la "pressione dei movimenti" (Ferrero).
Il vero significato dell'ennesima presunta svolta a sinistra del Prc, dopo il magro risultato raccolto in occasione delle elezioni europee e amministrative del 2009 con la candidatura indipendente (candidatura indipendente solo in alcune città e province), è emerso in una recente intervista di Ferrero a Repubblica, titolata significativamente "Pronti ad accettare Casini premier, pur di battere la destra di Berlusconi". Ferrero offre la disponibilità del Prc a suggellare un vero patto di governo con il partito dell'alternanza borghese al centrodestra, il Pd, il terzo accordo (dopo i disastri del Prodi I e del Prodi II). Non un accordo momentaneo, ma un accordo per tutta la legislatura. Ferrero si dice anche disponibile a sostenere la candidatura di Casini a Premier. E' ovvio che si tratta di un annuncio importante in vista della prossima tornata elettorale: il Prc, in crisi di militanza, ha deciso - come già ha annunciato - di dare nuova prova di affidabilità proponendosi per un'alleanza elettorale con Pd, IdV e Udc già in occasione delle imminenti elezioni regionali.
In definitiva, quindi, la politica perseguita dai riformisti - anche quando non sono al governo - resta una politica governista: la collaborazione di classe è l'elemento senza cui il riformismo non esisterebbe e senza cui le burocrazie non potrebbero preservare i loro piccoli o grandi privilegi, strettamente legati a questa società e dunque all'illusione, che spargono a piene mani, che possa essere riformata e governata diversamente.

 

Il centrismo in difficoltà

I gruppi centristi vivono un momento di difficoltà. Nel Pcl di Ferrando, essendo un'organizzazione costruita sulla confusa sommatoria di opzioni differenti (inclusi nostalgici del Pci togliattiano, fans di Chavez, ecc.), in cui l'unico collante è dato dalla centralità del capo e da un confuso riferimento al "comunismo", il richiamo della "svolta a sinistra" del Prc ha esercitato una comprensibile attrazione per la gran parte gli attivisti. Si tratta di un'organizzazione basata solo sulla ricerca di spazi mass-mediatici: si vedano i grotteschi appelli a Berlusconi e Fini perché "prendano le distanze" dalla Mussolini; la partecipazione alle manifestazioni di Di Pietro; fino all'implicita esaltazione del ruolo di "ministro della Repubblica" e agli appelli alla magistratura borghese. Il Pcl si basa su una concezione "lassa" di partito, su una struttura di tipo "menscevico" che raccoglie senza distinzioni di ruoli, e non distingue, nell'assenza di una democrazia leninista, tra militanti, attivisti e simpatizzanti. La proposta centrale del Pcl rimane oggi quella del "parlamento delle sinistre". Cosa sia esattamente questo "parlamento", quale lo scopo, a chi sia rivolto, chi dovrebbe farne parte, sono interrogativi su cui vige il massimo riserbo.
Diverso il discorso per Sinistra Critica. Sc riconosce oggi, nei testi del recente congresso, che "dall'uscita dal Prc ci aspettavamo di più" e che la situazione non è rosea. I documenti congressuali affermano una serie di cose abbastanza generiche sull'analisi del mondo. Il problema concerno ciò che manca nella proposta politica e strategica. E' rimossa la necessità di costruire un partito; è escluso il concetto di programma transitorio per guadagnare le masse a una prospettiva di potere dei lavoratori. E queste due mancanze (partito, programma) ben si combinano con la permanente confusione centrista sulla questione del potere (non vi è ombra di autocritica sul sostegno accordato a Prodi per un lungo periodo da Turigliatto). A ciò si aggiunga che sulla necessità di un partito comunista internazionale Sc fa un ulteriore passo indietro: non è più (come anche l'Npa di Besancenot in Francia) sezione del Segretariato Unificato (organizzazione che va verso un sostanziale scioglimento e rimarrà solo come rete di informazione). In definitiva, Sc ha rimosso i pilastri di un autentico partito comunista: programma transitorio, potere operaio, internazionale.

 

Il PdAC come strumento per la costruzione di un più grande partito comunista

Il Pdac non ha mai sofferto di manie di autosufficienza o di grandezza e non ha quindi mai avuto la pretesa di essere, da solo, la risposta all'esigenza di costruire quel più grande e radicato partito comunista che possa risolvere la crisi storica di direzione del proletariato e, con essa, la crisi stessa dell'umanità, che è dovuta in ultima istanza al divario tra la maturità delle condizioni oggettive per la rivoluzione e l'immaturità delle condizioni soggettive. Fin dalla nostra recente nascita (gennaio 2007) abbiamo concepito il Pdac come uno strumento nella prospettiva di costruzione di un nuovo partito rivoluzionario; ciò nel quadro della medesima battaglia condotta, sul piano internazionale, dalla Lit, per la ricostruzione della Quarta Internazionale.
E' per questo motivo che siamo sempre stati disponibili a contribuire a un processo di ricomposizione che veda protagonisti militanti di diversa provenienza che, sulla base del presupposto dell'indipendenza dalla borghesia e dai suoi governi, sviluppino una comune condivisione di un rinnovato programma dei rivoluzionari per l'oggi. Consapevoli dei tanti nostri limiti, che non ci permettono di avere ancora una struttura adeguata ad affrontare un'ascesa delle lotte operaie, possiamo però registrare i passi avanti compiuti in questi primi due anni. Alla diffusione territoriale del nostro partito si è accompagnato un irrobustimento delle nostre - certo ancora fragili e povere di risorse - strutture periferiche. Sulla base di principi chiari tanto in campo politico come organizzativo (essendo le due cose strettamente intrecciate), abbiamo proseguito nel difficile lavoro di costruzione di un partito di militanti inseriti nelle lotte. Oggi vediamo i primissimi frutti di questo impegno. L'incoraggiante risultato quantitativo e qualitativo dei seminari nazionali di formazione; l'ingresso nel partito di nuovi militanti, specialmente giovani e giovanissimi; la partecipazione visibile e riconoscibile nella gran parte delle manifestazioni e scioperi delle nostre Sezioni; il nostro ruolo di avanguardie in molte delle lotte di questi mesi (dalle lotte nel pubblico impiego a quelle dei precari della scuola, dalle lotte operaie della Ba.rsa al radicamento operaio a Latina, ecc); il nostro ruolo riconosciuto nella costruzione di aree classiste nella rete 28 aprile in Cgil e nella Costituente del sindacalismo di base sono la migliore riprova che se la strada è ancora lunga, la direzione di marcia è quella giusta.
I passi avanti compiuti anche dalla Lit-Quarta Internazionale (e registrati al congresso mondiale) non possono che favorire, nello stretto intreccio della costruzione nazionale e internazionale (a partire dal comune lavoro in Europa delle Sezioni della Lit), l'ulteriore rafforzamento del Pdac, tanto più perché la prossima fase, in Italia come in Europa e nel mondo, sarà contrassegnata da un acuirsi dallo scontro di classe, da una ripresa delle lotte che in alcuni Paesi - Grecia, Francia, ecc. - costituisce già una vera e propria ascesa (mentre in altri come in Italia è solo agli inizi).

 

I compiti della prossima fase e la nostra piattaforma rivendicativa

Nel quadro politico qui delineato, il PdAC presenta una piattaforma rivendicativa transitoria, per un intervento finalizzato alla costruzione di un percorso di lotte che porti al rovesciamento degli attuali rapporti di forza tra le classi:

 

  • Per la difesa del diritto di sciopero e di manifestazione! No alla repressione delle lotte! La cancellazione di fatto del diritto di sciopero nel settore dei trasporti, con l'imposizione del referendum per le organizzazioni che sono al di sotto del 50% di rappresentatività, la dichiarazione obbligatoria di adesione allo sciopero, lo sciopero virtuale, l'allungamento degli intervalli tra uno sciopero e l'altro, le sanzioni per le violazioni delle regole; il divieto di manifestare nei fine settimana nei centri storici delle città; l'annunciato ulteriore inasprimento delle misure repressive nei confronti di ogni manifestazioni di dissenso; l'istituzione delle cosiddette ronde sono solo l'anticipo di altri attacchi preventivi di governo e padronato, in vista di una stagione di lotte che si annuncia sullo sfondo della crisi capitalistica. Non è un caso che il ddl Sacconi - che ha ricevuto il via libera di Cisl e Uil - vieti da subito tutte le forme di conflitto che si esprimano con il "blocco fisico" di siti, strade, aeroporti, ecc. Il PdAC si oppone a tutte queste misure e contribuisce alla costruzione dell'autodifesa operaia contro la repressione padronale.
  • Per la difesa dei diritti democratici e delle conquiste sociali degli operai, della laicità e delle libertà individuali! Il PdAC difende i diritti democratici e le conquiste sociali della classe operaia, che, in questa fase di capitalismo in decadenza, vengono continuamente messi in discussione dalla borghesia e dai suoi governi: ingerenze del Vaticano nelle questioni che riguardano interruzione di gravidanza, eutanasia, diritti delle donne; violazione sistematica del diritto di manifestazione e della libertà di opinione (in relazione, ad esempio, all'impossibilità di mettere in discussione lo Stato d'Israele), ecc.
  • Forti aumenti salariali per tutti! Scala mobile dei salari e delle ore lavorative! Fin da subito, salario sociale, pagato coi profitti dei padroni, equivalente al salario medio, per tutti i disoccupati!  Il PdAC rivendica lavoro e condizioni di vita dignitose per tutti e, per questo, respinge gli accordi concertativi tra organizzazioni sindacali, governo e padronato: sono accordi che hanno il solo intento di depredare la classe lavoratrice a vantaggio della borghesia. I contratti collettivi devono assicurare l'aumento automatico dei salari in relazione all'aumento dei prezzi dei beni di consumo. Contro la disoccupazione, sia "strutturale" che "congiunturale", il PdAC avanza la parola d'ordine della scala mobile delle ore lavorative: tutto il lavoro disponibile deve essere diviso tra tutti gli operai, in relazione alla durata della settimana lavorativa e a parità di salario. I salari, con un minimo rigorosamente garantito, devono essere adeguati all'andamento dei prezzi (scala mobile). Fin da subito, in vista del riassorbimento di tutta la disoccupazione, deve essere garantito un salario sociale ai disoccupati pari al salario medio, pagato con la redistribuzione dei profitti dei padroni.
  • Riduzione dell'età pensionabile per uomini e donne! Aumento automatico delle pensioni in relazione al carovita! I governi di entrambi gli schieramenti hanno accelerato sul terreno dell'aumento dell'età pensionabile (da ultimo, l'innalzamento a 65 anni l'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego: proposta che non tiene conto che le donne svolgono di fatto, non retribuite, una doppia attività lavorativa con la cura dei figli e della casa). Il PdAC respinge questi attacchi e rivendica la riduzione dell'età pensionabile - a partire dalle donne, prime vittime dello smantellamento delle strutture pubbliche, asili, mense ecc -, l'aumento automatico delle pensioni in relazione all'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, pensioni dignitose per tutti.
  • Assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari! Sono centinaia di migliaia i lavoratori precari che, negli ultimi due anni, hanno perso il posto di lavoro per il mancato rinnovo dei contratti. Nella scuola pubblica in tre anni è prevista la perdita di oltre 150 mila posti di lavoro, che in gran parte si sta traducendo nel licenziamento di lavoratori precari. Oggi si raccolgono i frutti amari di un decennio di leggi precarizzanti, volute dai governi di entrambi gli schieramenti (si pensi al famigerato Pacchetto Treu del centrosinistra, votato anche dal Prc, che ha aperto la strada, nel 1997, all'utilizzo su larga scala dei contratti precari, e alla legge Biagi del centrodestra). Il PdAC rivendica l'assunzione immediata di tutti i lavoratori precari a tempo indeterminato, unica garanzia per evitare che questi lavoratori si trasformino in disoccupati. Il posto fisso di lavoro è un diritto elementare che il capitalismo non è in grado di garantire. Per questo, tale parola d'ordine si coniuga per noi con l'abbattimento del capitalismo e con la rivendicazione di un altro sistema economico e sociale.
  • Permesso di soggiorno e cittadinanza per tutti gli immigrati, con pari diritti politici e sociali dei lavoratori italiani! Di fronte alla recrudescenza delle politiche di esclusione e intolleranza razziale, a partire dalle leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini e dai recenti provvedimenti sulla "sicurezza" di Amato e Maroni, fino alla istituzione delle "ronde", i lavoratori immigrati pagano per primi i costi della crisi. Il PdAC difende il diritto degli immigrati al permesso di soggiorno, alla cittadinanza, a un posto di lavoro, a salari dignitosi, all'autodifesa organizzata per respingere gli attacchi razzisti e xenofobi sia che provengano da squadre razziste che dalle forze dell'ordine borghese. Rivendica per gli immigrati gli stessi diritti dei lavoratori nativi, sia sul terreno dei diritti politici e civili, che su quello dei diritti sociali.
  • Trasporti, scuola, sanità e previdenza pubblici e gratuiti! Per il diritto alla casa, riduzione e blocco degli affitti, requisizione delle case sfitte ed esproprio delle grandi proprietà immobiliari! Il diritto a trasporti pubblici e gratuiti e quello a una casa sono diritti minimi, che il sistema capitalistico non garantisce ai lavoratori. Per garantirli è necessario: avviare un piano di completa statalizzazione del sistema dei trasporti, da affidare alla diretta gestione dei lavoratori; riduzione e blocco degli affitti; requisire le case sfitte ed espropriare le grandi proprietà immobiliari, ridistribuendole a lavoratori e disoccupati - nativi o stranieri - sotto il controllo di comitati popolari.
  • Per il diritto alla salute nei luoghi di lavoro, contro il degrado ambientale e le fonti di inquinamento! La corsa ai profitti e alla riduzione dei costi si traduce, nell'epoca del capitalismo in putrefazione, in devastazione dell'ecosistema e peggioramento delle condizioni di lavoro (come dimostra tragicamente il fenomeno dei morti sul lavoro). La crisi del capitalismo accentua la distruzione e il degrado ambientali, rende più pericolosi e malsani i luoghi di lavoro. Rivendicare una gestione della produzione e dell'economia compatibile con il rispetto dell'ambiente e della salute significa porsi nell'ottica della costruzione di un'economia pianificata, sotto controllo dei lavoratori, che sappia conciliare sviluppo delle forze produttive e tutele.
  • No alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria, precorritrici in questa fase della mobilità! Nessun lavoratore deve essere licenziato: le ristrutturazioni aziendali le paghino i padroni ridistribuendo i profitti! Occupazione delle fabbriche che chiudono e licenziano! Il diritto al lavoro è un diritto elementare, che il capitalismo nella sua fase di decadenza non garantisce. I milioni di disoccupati e di cassa integrati destinati alla disoccupazione dimostrano l'assurdità del sistema capitalistico che, nonostante lo sviluppo delle forze produttive, riduce alla miseria milioni di persone. La cassa integrazione - ordinaria e straordinaria - costituisce un mezzo per preservare i profitti dei padroni e metterli a riparo da rischi di mercato o fallimenti scaricando i costi delle ristrutturazioni sulle spalle della collettività, cioè, ancora una volta, sui lavoratori (costretti tra l'altro a sopravvivere con un poche centinaia di euro al mese, spesso nemmeno elargite). Il PdAC rivendica il diritto al lavoro e a un salario dignitoso per tutti; respinge i tentativi di scaricare i costi della crisi sulle spalle dei lavoratori; sostiene i lavoratori che occupano le fabbriche in crisi.
  • Costruzione in tutte le fabbriche in mobilitazione di comitati di fabbrica, coordinamento degli stessi a livello regionale, nazionale e internazionale! Per la costruzione di comitati di lotta! Il PdAC sostiene la costruzione di comitati di fabbrica in tutte le aziende i cui lavoratori sono in mobilitazione. I comitati dovranno essere eletti da tutti i lavoratori della fabbrica, superando la limitatezza delle attuali rappresentanze sindacali (di fatto controllate dalle burocrazie dei sindacati collaborazionisti e svincolate dal controllo operaio). E' necessario superare l'isolamento e la frammentazione delle lotte, favorendo il coordinamento - sia su scala regionale che nazionale e internazionale - delle lotte operaie. Nella previsione di un' ulteriore crescita delle lotte operaie, il PdAC si impegna a favorire la costruzione di strutture di coordinamento delle lotte, di comitati di lotta territoriali, nella prospettiva - se si aprirà una fase apertamente rivoluzionaria - di organismi di potere operaio  ("soviet").
  • Organizzazione dell'autodifesa operaia attiva - a partire dai picchetti di sciopero - contro gli attacchi delle forze dell'ordine borghese, dell'esercito, delle "ronde" per la sicurezza, delle milizie private della borghesia, dei gruppi neofascisti. I capitalisti non dimenticano le lezioni del passato: sanno che, in un momento storico in cui non hanno "briciole" da distribuire, la lotta di classe può trasformarsi in conflitto acceso (come in Grecia). Anche in vista di una prevedibile ulteriore recrudescenza autoritaria e repressiva da parte borghese, è necessario costruire quella direzione rivoluzionaria che organizzi - a partire dai picchetti di sciopero e dai comitati di lotta - la difesa operaia e proletaria delle manifestazioni, dei partiti operai, delle strutture di lotta, legandola anche ai tentativi di autodifesa delle comunità immigrate. Il PdAC si fa promotore, nelle fabbriche, di squadre operaie  per la difesa delle lotte. Il PdAC rifiuta qualsiasi utilizzo individuale della violenza: gli atti di terrorismo individuale ostacolano il radicamento del partito tra le masse (come dimostra l'esperienza italiana degli anni Settanta) e sono per questo in contraddizione col marxismo rivoluzionario. 
  • No ai finanziamenti a banchieri e capitalisti! Abolizione del segreto commerciale! Apertura dei libri contabili delle banche e delle aziende! Di fronte al collasso del sistema industriale e creditizio, i governi, mentre tagliano la spesa pubblica (scuola, sanità, ecc) "per la situazione di emergenza" rispondono regalando altri miliardi a banchieri e capitalisti, cioè ai responsabili di questo disastro economico e sociale. Il PdAC respinge questo affronto alla classe lavoratrice. Gli operai hanno il diritto di conoscere i conti delle fabbriche e delle società per azioni, così come di tutti i rami dell'economia nazionale. I compiti immediati del controllo operaio dovranno essere: esibire crediti e debiti di aziende e banche; stabilire, in funzione della redistribuzione sociale, le quote di reddito nazionale di cui si sono appropriati i vari capitalisti (a partire da quelli che annunciano fallimenti e conseguente smantellamento delle aziende); mostrare gli affari occulti e le truffe delle banche e dei gruppi capitalistici; svelare, in definitiva, agli occhi delle masse il carattere contraddittorio dell'economia capitalistica.
  • Le aziende che licenziano o chiudono e le banche in crisi devono essere espropriate e poste sotto il controllo dei lavoratori! Rivendichiamo l'esproprio - senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori - delle aziende che chiudono e licenziano, delle industrie in crisi che sono vitali per la sopravvivenza della nazione, dei gruppi parassitari coinvolti in truffe e falsi in bilancio. Allo stesso tempo, lanciamo la parola d'ordine dell'esproprio delle banche private e la costruzione di una banca unica di Stato che possa garantire i risparmi dei lavoratori e migliori condizioni di credito per i piccoli artigiani, i commercianti, i contadini.
  • Lotta contro le guerre imperialiste! Ritiro immediato di tutte le truppe di occupazione! Chiusura delle basi militari e loro conversione ad uso civile! Confisca dei profitti delle missioni militari ed esproprio dell'industria bellica! La guerra è un grande affare commerciale per i gruppi capitalistici che controllano l'industria bellica. Anche in vista del prevedibile acutizzarsi delle tensioni interimperialistiche, occorre sottrarre dalle mani degli avidi capitalisti la possibilità di decidere dei destini dei popoli. Non un uomo né un soldo per i governi dei padroni! No alle spese militari dei governi di entrambi gli schieramenti. Sì a un programma sociale di opere pubbliche! Chiusura delle basi militari e loro conversione ad uso civile! Esproprio dell'industria bellica, confisca dei profitti delle missioni militari (a partire da quelli dell'Eni), ritiro immediato delle truppe d'occupazione in Afghanistan, Libano, ecc.
  • Per un'economia socialista pianificata, unica soluzione alla crisi capitalistica! Le premesse oggettive della rivoluzione socialista hanno raggiunto il massimo sviluppo possibile in un contesto capitalistico. Senza una rivoluzione socialista nel prossimo periodo storico una catastrofe minaccia l'umanità. Solo un'economia pianificata, sotto controllo dei lavoratori, può salvare l'umanità dalla spirale di guerra e miseria in cui il capitalismo la sta trascinando.

Nel loro insieme queste rivendicazioni presuppongono un governo dei lavoratori per i lavoratori che avvii il superamento di questo sistema economico capitalistico e la costruzione di uno Stato operaio e socialista.

Iscrizione Newsletter

Iscrizione Newsletter

Compila il modulo per iscriverti alla nostra newsletter - I campi contrassegnati da sono obbligatori.


Il campo per collaborare col partito è opzionale

 

Campagne ed Iniziative





campagna

tesseramento 2024

 






Il libro sulla lotta in Alitalia

 




16 marzo

Milano

 


21 febbraio: zoom nazionale

 

 


4 febbraio

Bari


 

21 gennaio

formazione

 


31 dicembre

Bari


giovedì 21 dicembre

modena


domenica 17 dicembre

Cremona

 

 
 
 

 
4 dicembre
 
 

 
 16 ottobre ore 20.45
 
 

Cremona

sabato 14 ottobre ore 1530

 
 
 1-8-15 ottobre
 
 

 
festa in baracca
Cremona
 

 
martedì 27 giugno
zoom Milano
 
 
 

 
 
17 maggio
zoom nazionale su Marx
 
 
 

 

 

Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale

NEWS Progetto Comunista n 131

NEWS Trotskismo Oggi n 22

Ultimi Video

tv del pdac