Partito di Alternativa Comunista

I primi congressi della Terza Internazionale: la questione sindacale

I primi congressi della Terza Internazionale: la questione sindacale
Il lavoro dei comunisti nei sindacati al servizio della costruzione dell’egemonia nella classe

Antonino Marceca

I primi quattro congressi della Terza Internazionale (1919-1922) condensano un enorme patrimonio teorico e politico ancora attuale. Le tesi discusse ed approvate investono diversi temi, tra questi la questione sindacale è stata affrontata nel secondo, terzo e quarto congresso. E’ stato Lenin, proprio per marcare una discontinuità con la politica della Seconda Internazionale, a chiedere di “non eludere la questione e non attenuare le questioni scottanti” in riferimento alle posizioni che emergevano in alcune sezioni, specialmente dell’Europa occidentale, contrarie alla partecipazione alle elezioni politiche e all’attività in seno alle organizzazioni sindacali egemonizzate dalla burocrazia riformista.

Il secondo congresso

Il secondo congresso della Terza Internazionale, svoltosi dal 17 luglio al 7 agosto 1920, affronta la questione sindacale in apposite tesi: “il movimento sindacale, i comitati di fabbrica e di officina”. Le tesi analizzano il ruolo controrivoluzionario svolto dalla burocrazia sindacale riformista sia nel corso della prima guerra imperialista (1914-1918) che nelle fasi precedenti e successive alla stessa poiché “impedisce che le azioni isolate di differenti categorie operaie si fondano in una generale azione di classe” contro il governo e il padronato. Ma, continuano le tesi, “essendo un dato di fatto la tendenza delle larghe masse operaie ad entrare nei sindacati” proprio per farsene un’arma di lotta e di resistenza contro il padronato, “è importante che i comunisti di tutti i paesi facciano parte dei sindacati e lavorino per farne organi coscienti della lotta per il rovesciamento del sistema capitalista e per il trionfo del comunismo. Ogni diserzione volontaria del movimento professionale, ogni tentativo di scissione artificiale di sindacati (...) rappresenta un enorme danno per il movimento comunista. Esso scarta dalla massa gli operai più avanzati, più coscienti, e le spinge verso i capi opportunisti che lavorano negli interessi della borghesia. Se capita però che la scissione ci ponga come una necessità assoluta, non vi si dovrà ricorrere che quando vi sia la certezza che i comunisti riusciranno (…) a convincere le larghe masse operaie che la scissione si giustifica (…) con gli interessi concreti immediati della classe operaia, corrispondenti alle necessità dell’azione sul terreno economico. Nel caso in cui una scissione divenga inevitabile, i comunisti dovrebbero accordare una grande attenzione a che tale scissione non li isoli dalla massa operaia (...). Dove la scissione tra le tendenze sindacali opportuniste e quelle rivoluzionarie si è già prodotta, i comunisti hanno l’obbligo di dare il loro contributo a questi sindacati rivoluzionari, di sostenerli, di aiutarli a liberarsi dei loro pregiudizi sindacalisti e a collocarsi sul terreno del comunismo, poiché quest'ultimo è l’unica bussola fedele e sicura in tutti i complessi problemi della lotta economica. Ma l’aiuto prestato ai sindacati rivoluzionari non deve significare l’uscita dei comunisti dai sindacati opportunisti. Essi devono giocare un ruolo di elemento unificatore, morale e pratico, tra gli operai organizzati, per una lotta comune tendente a distruggere il regime del capitale. Nell’epoca in cui il capitalismo cade in rovina, la lotta economica del proletariato si trasforma in lotta politica molto più rapidamente che nell’epoca dello sviluppo pacifico del regime capitalistico. Ogni conflitto economico importante può porre all’ordine del giorno, di fronte agli occhi degli operai, il problema della rivoluzione. E’ dunque dovere dei comunisti far risaltare di fronte agli operai, in tutte le fasi della lotta economica, che questa lotta può essere coronata da successo soltanto quando la classe operaia abbia vinto la classe capitalista in una battaglia campale e si incarichi, una volta stabilita la sua dittatura, dell’organizzazione socialista del paese. E’ partendo da ciò che i comunisti devono tendere a realizzare, nella misura del possibile, una perfetta unione tra sindacati e partito comunista subordinando quelli a questo, all’avanguardia della rivoluzione. A tal fine i comunisti devono organizzare in tutti questi sindacati e consigli di fabbrica frazioni comuniste che li aiuteranno ad impadronirsi del movimento sindacale e a dirigerlo”. Infine contro il nazionalismo delle burocrazie sindacali riformiste, “gli operai comunisti di tutti i paesi, membri dei sindacati, devono (…) lavorare per la creazione di un fronte sindacale internazionale”.

Il terzo ed il quarto congresso

Il Terzo Congresso, svoltosi nel luglio 1921, ritorna sulla questione sindacale nelle “tesi sull’Internazionale comunista e l’Internazionale dei sindacati rossi”. In esse viene sviluppata la lotta contro il tentativo delle forze riformiste e borghesi di iniettare tra le masse operaie la concezione della “neutralità dei sindacati, della loro apoliticità, della loro apartiticità”: una concezione mirante ad impedire attraverso la falsa coscienza della neutralità dei sindacati la direzione del partito comunista delle masse operaie. Le Tesi distinguono, infatti, ruolo e composizione delle due organizzazioni: mentre “il partito comunista è l’avanguardia del proletariato (…), i sindacati sono un’organizzazione di massa del proletariato, il cui sviluppo mira a farne un’organizzazione comprendente tutti i lavoratori, perfino quelli più arretrati del proletariato (…). Nell’immediato futuro il compito principale di tutti i comunisti consiste in un lavoro costante, attivo ed ostinato al fine di conquistare la maggioranza dei lavoratori in tutti i sindacati (…). La forza di ogni partito si misura soprattutto dall’influenza reale che esso esercita sulle masse operaie entro i sindacati. Il partito deve saper esercitare un’influenza decisiva sui sindacati, senza però pretendere di tenerli sotto tutela. Soltanto le cellule comuniste dei sindacati sono subordinate al partito, non già i sindacati in quanto tali”.
Il Quarto Congresso svoltosi nel dicembre 1922, nelle “Direttive del IV congresso per l’azione comunista nei sindacati” afferma che in risposta alla controffensiva della borghesia, la burocrazia sindacale è incapace di opporre una seria resistenza, ed anzi pratica una politica di collaborazione di classe. Il Quarto Congresso ribadisce pertanto la necessità per i comunisti di “prendere l’iniziativa della creazione all’interno dei sindacati un blocco insieme ai lavoratori rivoluzionari di altre tendenze” sulla base di una piattaforma di classe.




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