Grecia: divampa ancora la
lotta
Il capitalismo sull'orlo della
bancarotta
di Davide
Margiotta
Ad un anno esatto dall'assassinio del
giovane Alexis, ammazzato dalla polizia, la Grecia è di nuovo in fiamme. Nel
dicembre scorso nelle principali città del Paese migliaia di persone
organizzarono barricate, scioperi e occupazioni.

Una nuova ondata di proteste si è scatenata nei giorni scorsi, per la crisi
economica e per la repressione poliziesca, che anche dopo la vittoria
"socialista" nelle elezioni di ottobre non è affatto cessata, come dimostrato in
questi giorni.
La mobilitazione ha avuto inizio sabato 5 dicembre, quando è stata occupata la sede comunale di Keratsini, un sobborgo della capitale, e nel quartiere di Exarchia sono scoppiati tafferugli fra manifestanti e poliziotti. Il governo "socialista" ha mobilitato 12 mila poliziotti per reprimere le proteste, guidate in larghissima maggioranza dalla gioventù, che sono partite da Atene e Salonicco e sono divampate velocemente in tutto il Paese: Patrasso, Rodi, Creta e Ioannina.
Al solito, i media della boghesia hanno fatto a gara nel rappresentare la rivolta greca come un’eruzione di violenza gratuita di un manipolo di anarchici e giovani deviati, ma la realtà è che la situazione sociale è esplosiva, come dimostrano i numerosi scioperi generali che hanno paralizzato il Paese negli ultimi anni, con alcuni casi di occupazioni di fabbriche, le lotte ad oltranza come quelle di insegnanti (6 settimane), e operatori ecologici (4 settimane), e naturalmente le infinite mobilitazioni studentesche, con occupazioni degli edifici.
La mobilitazione ha avuto inizio sabato 5 dicembre, quando è stata occupata la sede comunale di Keratsini, un sobborgo della capitale, e nel quartiere di Exarchia sono scoppiati tafferugli fra manifestanti e poliziotti. Il governo "socialista" ha mobilitato 12 mila poliziotti per reprimere le proteste, guidate in larghissima maggioranza dalla gioventù, che sono partite da Atene e Salonicco e sono divampate velocemente in tutto il Paese: Patrasso, Rodi, Creta e Ioannina.
Al solito, i media della boghesia hanno fatto a gara nel rappresentare la rivolta greca come un’eruzione di violenza gratuita di un manipolo di anarchici e giovani deviati, ma la realtà è che la situazione sociale è esplosiva, come dimostrano i numerosi scioperi generali che hanno paralizzato il Paese negli ultimi anni, con alcuni casi di occupazioni di fabbriche, le lotte ad oltranza come quelle di insegnanti (6 settimane), e operatori ecologici (4 settimane), e naturalmente le infinite mobilitazioni studentesche, con occupazioni degli edifici.
La prospettiva della
bancarotta dietro la rivolta
In questi anni i governi della
borghesia hanno attaccato pesantemente le condizioni di vita del proletariato.
In un Paese in cui una persona su cinque vive al di sotto della soglia di
povertà, da un lato si sono regalati decine di miliardi di euro per salvare le
banche in difficoltà, mentre dall'altro si provvedeva a peggiorare le pensioni,
tagliare i fondi per l'istruzione pubblica e lo stato sociale, e si operavano
una serie di privatizzazioni ad esclusivo vantaggio di poche famiglie della
classe dominante.
Lo scontro sociale esplode nel momento in cui la crisi capitalistica tocca in Grecia la sua vetta più alta e lo spettro della bancarotta si profila all'orizzonte. Il premier Giorgio Papandreou ha assicurato che “non c'è alcun pericolo di bancarotta” e ha escluso paragoni con Dubai, ma in meno di undici mesi il deficit di bilancio, stando ai dati ufficiali, è passato dal 3,7% al 12,7% del prodotto interno lordo, oltre quattro volte il tetto fissato dall'Ue.
In un contesto di politica monetaria dove la Bce è intenzionata a ridurre la liquidità in circolazione la situazione greca pesa anche sulle banche locali, che hanno perso terreno in borsa sull'onda di indiscrezioni secondo le quali sarebbero state invitate a ridurre la loro esposione in bond per favorire i prestiti alle imprese.
In questo scenario il governo greco si appresta a congelare salari, pensioni e assunzioni pubbliche. Con la nuova legge di bilancio saranno bloccati salari e pensioni al di sopra di duemila euro lordi mensili: un provvedimento che riguarderà 500 mila impiegati e 400 mila pensionati su una popolazione di 11 milioni di persone. Gli altri avranno aumenti appena sopra il tasso di inflazione.
Lo scontro sociale esplode nel momento in cui la crisi capitalistica tocca in Grecia la sua vetta più alta e lo spettro della bancarotta si profila all'orizzonte. Il premier Giorgio Papandreou ha assicurato che “non c'è alcun pericolo di bancarotta” e ha escluso paragoni con Dubai, ma in meno di undici mesi il deficit di bilancio, stando ai dati ufficiali, è passato dal 3,7% al 12,7% del prodotto interno lordo, oltre quattro volte il tetto fissato dall'Ue.
In un contesto di politica monetaria dove la Bce è intenzionata a ridurre la liquidità in circolazione la situazione greca pesa anche sulle banche locali, che hanno perso terreno in borsa sull'onda di indiscrezioni secondo le quali sarebbero state invitate a ridurre la loro esposione in bond per favorire i prestiti alle imprese.
In questo scenario il governo greco si appresta a congelare salari, pensioni e assunzioni pubbliche. Con la nuova legge di bilancio saranno bloccati salari e pensioni al di sopra di duemila euro lordi mensili: un provvedimento che riguarderà 500 mila impiegati e 400 mila pensionati su una popolazione di 11 milioni di persone. Gli altri avranno aumenti appena sopra il tasso di inflazione.
Comunismo o
barbarie
I governi borghesi di tutta Europa
continuano a guardare con preoccupazione ad Atene, temendo di vedere le
barricate di Atene e Salonicco nelle proprie capitali. La crisi capitalista mina
alle fondamenta la fiducia che le masse sfruttate ripongono nelle classi
dominanti. Ma perché le eroiche lotte del proletariato e della gioventù greca (e
non solo) abbiano la possibilità di vincere, il loro coraggio non è sufficiente.
La storia (e il buon senso) dimostra che la borghesia non abdicherà
volontariamente al suo dominio e che il socialismo non potrà essere edificato
sulle macerie dell'autodistruzione del capitalismo. E' necessario che la
maggioranza politicamente attiva del proletariato comprenda la non riformabilità
del capitalismo e si organizzi per prendere il potere e marciare verso la
costruzione di un nuovo ordine sociale basato sull'essere umano e non sul
profitto.
L'alternativa è tra comunismo e
barbarie. Serve un programma che partendo dai bisogni elementari delle masse
innalzi sempre più la loro coscienza. Questo ruolo può essere svolto solo dal
partito comunista rivoluzionario che ad oggi non c'è, ma che dobbiamo costruire
con urgenza. In Grecia, anche i compagni dell'Okde-Ep, con cui
collaboriamo, lavorano in questa direzione!
Un partito comunista rivoluzionario è internazionale o non è, e questo è vero a maggior ragione oggi. La Lega Internazionale dei Lavoratori, e il Pdac, sua sezione italiana, lotta ogni giorno contro il tempo proprio affinché le battaglie dei prossimi anni non siano disperse tragicamente perché prive di una prospettiva e di un programma rivoluzionari.
Un partito comunista rivoluzionario è internazionale o non è, e questo è vero a maggior ragione oggi. La Lega Internazionale dei Lavoratori, e il Pdac, sua sezione italiana, lotta ogni giorno contro il tempo proprio affinché le battaglie dei prossimi anni non siano disperse tragicamente perché prive di una prospettiva e di un programma rivoluzionari.